Margherita Camurati, detta Pulce, ha nove anni, è autistica, beve solo tamarindo e ascolta musica classica. La famiglia ha fatto di tutto per farla sentire normale e garantirle un’esistenza tranquilla, costruendo un universo in cui comunicare per immagini è più facile che farlo con le parole. Un giorno la serenità della casa è sconvolta dal mancato ritorno di Pulce, prelevata a scuola dalle autorità e condotta in una comunità perché papà Gualtiero è sospettato di aver abusato di Pulce e la giustizia deve a tutti i costi fare il suo percorso.
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Giuseppe Bonito, al suo esordio nel difficile mondo dei lungometraggi, evita le secche fin troppo facili del sentimentalismo e della melassa - l’uso parco, quasi minimale della colonna sonora, di per sé, può quasi far gridare al miracolo alle nostre latitudini - intessendo con sobrietà un quadro familiare e sociale in una Torino dalla luce grigia e spenta (asettica come la luce degli istituti per l’infanzia e dei palazzi di giustizia) che la fotografia coglie in maniera mai così impietosa.
Tratto da cinematografo.it