Una notte, sulla provinciale di una città brianzola, alla vigilia di Natale, con un ciclista investito da un Suv… l’incipit. Che cosa è successo esattamente? L’unica cosa certa è che questo incidente cambierà il destino di due famiglie, quella di Giovanni Bernaschi, top rider della finanza e quella di Dino Ossola, ambizioso immobiliarista sull’orlo del fallimento. E forse potrebbe cambiare per sempre anche la vita di qualcuno che con quelle smanie di arricchimento non c’entrava niente… i loro figli.
Con Il capitale umano Paolo Virzì ha cambiato passo. È andato in Brianza a raccontare com’è cambiata l’Italia, lo ha fatto come se partisse per l’Alaska. Ha messo in valigia i suoi attrezzi da sarto di storie e come un esploratore si è addentrato di soppiatto nella terra dei ricchi. Di quelli che “hanno scommesso sulla rovina del nostro paese, e hanno vinto”. Gli speculatori, i maghi della finanza, quelli che ti promettono di guadagnare il 40 per cento sui tuoi risparmi e che poi se li mangiano, con la tua vita intera. Che calcolano con un algoritmo quanto costa la tua morte, il «capitale umano» del titolo: il risarcimento agli eredi per l’assenza. Il film è bellissimo, il migliore di Virzì. Potente, lieve, preciso. Il regista dirige un gruppo di attori eccezionali rendendo ciascuno di loro, se ancora possibile, una sorpresa. La storia avviene alla vigilia di Natale in un piccolo paese della Brianza. C’è una cena di gala, c’è un incidente - il cameriere della cena che torna a casa in bici, investito da un Suv – c’è un colpevole ignoto. Affresco polifonico e corale (riscrittura del romanzo di Stephen Amidon). L’America è qui, in Brianza.
Tratto da trovacinema.repubblica.it